PSICOTERAPIA E NEUROPSICOLOGIA: QUALE APPROCCIO SCEGLIERE?
Sentiamo sempre più spesso parlare di trauma e di persone che hanno vissuto esperienze traumatiche.
Ho scelto di scrivere questo articolo partendo da due specifici ambiti del mio lavoro: la neuropsicologia e la psicoterapia.
L’esigenza nasce da una scelta che spesso mi trovo a compiere con alcuni dei miei pazienti vittime di trauma.
Nello specifico, collaboro da diversi anni con uno studio associato che si occupa di risarcimento assicurativo e i clienti che mi vengono inviati spesso sono vittime di un incidente stradale. Nell’approcciarmi a loro, mi trovo molto spesso a fare delle scelte di campo, di ambito di lavoro e la prima domanda che mi pongo è: questa persona avrà bisogno di un approccio neuropsicologico o psicoterapico?
E ancora, avrà bisogno di una valutazione neuropsicologica e conseguente programma riabilitativo, o mi chiedere di lavorare sulle ferite psicologiche che il trauma gli ha causato e quindi avrà bisogno di un setting psicoterapeutico?
Insomma, ha bisogno di me come neuropsicologo o come psicoterapeuta? Oppure, come sovente mi succede, di entrambe le figure?
Proprio per questo motivo, ho voluto scrivere questo articolo delineando le due tipologie di traumi con cui lavoro: il trauma cranico o neurologico e il trauma psicologico.
Avrei potuto scrivere questo articolo invitando il lettore ad un lavoro da spettatore di una partita di tennis cui è stato assegnato un posto laterale, facendogli però sorbire così per tutta la durata della partita il movimento della testa “a tergicristallo”, da destra a sinistra e via così. Dopo un po’ penso che vi stanchereste e il collo ne risentirebbe.
Per cui, procedo con la definizione di entrambi le tipologie di traumi, andando poi ad approfondire l’uno, poi altro.
Partirei seguendo la linea temporale dei miei studi, quindi con l’aspetto neuropsicologico, andando a vedere cosa si intende con trauma cranico e quali sono le implicazioni nel lavoro con questa tipologia di pazienti.
TRAUMA NEUROLOGICO
Per trauma cranico (o neurologico) si intende qualsiasi danno a carico del cranio e/o all’encefalo e ai suoi involucri, causato da un evento fisico di tipo meccanico (ad es. una caduta a terra, un frontale in auto etc..).
In queste situazioni, possiamo trovarci di fronte a due tipologie di lesione: chiusa (se il cranio rimane intatto, ma le componenti all’ interno ne risultano danneggiate, come può accadere nei casi di un incidente stradale o di un trauma sportivo) o aperta (quando invece l’oggetto contro cui si scontra il cranio, riesce a penetrarlo, come accade per esempio con un proiettile).
Un ulteriore classificazione è rispetto all’ entità del danno, per cui possiamo parlare rispettivamente di trauma cranico lieve, moderato e grave.
Nel primo grado (trauma lieve) il danno non porta conseguenze e si risolve in un periodo di tempo limitato (in questo caso parliamo del semplice ematoma che compare a livello del cuoio capelluto). Se invece l’impatto è violento, ci troveremo di fronte a conseguenze molto gravi a seconda di quanto viene coinvolto il tessuto cerebrale che viene leso in modo indiretto (urto contro la parete interna della scatola cranica) o diretto (per sfondamento della stessa).
Sintomi e fattori di rischio
I sintomi associabili ad un grave trauma cranico encefalico (TCE) possono essere vari e non compresenti. Si va da una cefalea diffusa e senza remissione, vomito e nausea, sonnolenza, difficoltà nella mobilità degli arti superiori o inferiori, difficoltà nell’espressione, disturbi visivi, disturbi dell’equilibri, incontinenza, perdita dell’equilibrio, perdita di coscienza, stato confusionale, amnesie.
A questi sintomi, sono poi associati i cosiddetti fattori di rischio (specifica condizione che
risulta statisticamente associata ad una malattia e che pertanto si ritiene possa concorrere alla sua patogenesi, favorirne lo sviluppo o accelerarne il decorso) il primo tra i quali è rappresentato dall’età (maggiore di 65 anni), ma anche dalla presenza di malattie e patologie pregresse, da assunzioni di terapie farmacologiche (nello specifico farmaci anticoagulanti), da assunzioni di sostanza tossiche nonché dalla violenza del trauma stesso.
Diagnosi
In presenza di trauma cranico lieve, in assenza di fattori di rischio e in assenza di sintomi (se non il dolore per il colpo in sede del trauma), il paziente viene dimesso con la raccomandazione di tenere monitorata la situazione e di un ritorno in pronto soccorso alla comparsa di uno o più sintomi.
Diversa è la situazione in cui il paziente presenta alcuni dei sintomi di cui sopra e/o uno o più fattori di rischio. In quel caso, la prima cosa che viene fatta in sede ospedaliera è la TAC, strumento diagnostico che permette di vedere se c’è sanguinamento all’interno della scatola cranica, TAC che viene ripetuta dopo 24 ore se la prima ha dato esito negativo o comunque alla comparsa di un quadro clinico peggiorativo.
Superata la cosiddetta fase acuta, bisogna valutare gli esiti del danno residuo. Per fare questo, viene utilizzata la Glasgow Outcome Scale (GOS), scala di valutazione che prevede cinque categorie di risultati finali misurabili a distanza di sei mesi dal trauma (Decesso, Stato vegetativo persistente, Disabilità severa, Disabilità moderata, Buon recupero).
Evoluzione ed interventi riabilitativi
Il trauma cranico segue un percorso temporale che prevede una fase acuta (primi attimi e giorni successivi al risveglio dal coma), una fase post-acuta (mesi successivi dal risveglio dal coma), una fase degli esiti (quadro cognitivo-comportamentale stabilizzato).
Per le prime due fasi (acuta e post -acuta) l’intervento si basa principalmente sul recupero dei processi attentivi di base, necessari poi per il proseguo della riabilitazione.
Nella fase degli esiti (detta anche fase cronica) l’obiettivo sarà quello di aiutare il paziente nel recuperare le abilità presenti prima dell’incidente che dovranno tenere conto della condizione del paziente. Questa rappresenta una fase molto delicata dal momento che l’intervento deve essere
strutturato a misura sul paziente, tenendo conto sia la gravità del trauma ma anche le potenzialità attuali e pregresse del paziente stesso.
L’intervento è attuato da un’equipe multidisciplinare composta da medico neurologo, neuropsicologi, fisioterapisti, logopedisti ed educatori.
Valutazione e riabilitazione neuropsicologica
La valutazione delle funzioni cognitive viene fatta nella fase cronica, quando il paziente ha una stabilizzazione del quadro clinico cognitivo.
Il professionista che si occupa di effettuare la valutazione neuropsicologica è il Neuropsicologo. Questi, unirà agli strumenti di diagnostica delle immagini (TAC, Risonanza Magnetica, etc), la valutazione testistica dei disturbi che il paziente presenta, in modo da avere un profilo di funzionamento e soprattutto delle difficoltà cognitive che interessano il paziente.
I test che vengono somministrati, andranno appunto ad indagare le capacità cognitive residue del paziente (attenzione, memoria, funzioni esecutive, capacità linguistiche, abilità visuo-spaziali e visuo-percettive).
Sulla base di quanto osservato con la valutazione, si avviano programmi riabilitativi specifici in ambito neuropsicologico. Se ad esempio, dalla valutazione emerge un chiaro disturbo della memoria, mentre tutte le altre funzioni risultano conservate, il neuropsicologo predisporrà un programma riabilitativo volto a stimolare le funzioni mnestiche.
BIBLIOGRAFIA
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